Due arresti per la morte di Antonella Lopez, la diciannovenne uccisa per errore in una discoteca a Molfetta il 22 settembre 2024, nel corso di una sparatoria. Eugenio Palermiti e Savino Parisi jr finiscono in carcere con l’accusa di detenzione e porto di armi da fuoco, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa. Continua il lavoro delle forze dell’ordine per far luce su quanto accaduto quella notte alla discoteca Bahia, e ora, con il lavoro svolto dalla Direzione distrettuale antimafia, emergono particolari importanti anche sul gruppo di persone coinvolte nell’episodio.
A partire da Eugenio Palermiti, 21enne nipote dell’omonimo boss e figlio di pluripregiudicato (attualmente in carcere per l’omicidio di Walter Rafaschieri, avvenuto nel settembre 2018): secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il giovane era armato, la notte dell’omicidio di Antonella Lopez, e dopo la sparatoria l’arma era stata occultata e non è stata più rinvenuta. Era proprio Palermiti l’obiettivo di Michele Lavopa, colui che ha sparato i colpi che hanno colpito mortalmente Lopez (Lavopa è attualmente in carcere). Lei era in compagnia del rampollo dei Palermiti e di altri suoi amici (Francesco Crudele, Davide Rana e Gianmarco Ceglie, feriti e ricoverati al Policlinico di Bari). Secondo le informazioni, quella sera il gruppo Palermiti era entrato “senza pagare e con prepotenza” nella discoteca”, incrociando la comitiva di Lavopa con la quale “c’erano precedenti dissapori”. La situazione era degenerata e Palermiti aveva messo mano alla cintura, o alla tasca, inducendo Lavopa a estrarre la pistola e sparare.
Ma c’è un altro tassello importante nella vicenda: le indagini hanno permesso di attribuire a Palermiti altre due armi da sparo, e una di queste era stata introdotta, alcuni mesi prima dell’episodio del Bahia di Molfetta, in un’altra discoteca, il Divinae Follie di Bisceglie. A renderlo possibile era stato Savino Parisi jr, 29enne amico di Palermiti e nipote dell’omonimo capo clan di Bari, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso. “In tale occasione – precisa la Procura di Bari – grazie alla compiacenza di alcuni buttafuori i due erano riusciti a nascondere l’arma, eludendo un controllo in atto delle forze di polizia”.
Il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, ma quello che risulta è un quadro allarmante. È la stessa Procura a evidenziarlo: “Le vicende oggetto delle indagini si inquadrano in un più vasto e allarmante fenomeno, costituito dall’abitudine dei giovani frequentatori di luoghi di ritrovo di Bari e località vicine, per lo più rampolli di famiglie storicamente inserite in contesti di criminalità, di recarsi armati, disposti a confrontarsi apertamente e sfacciatamente con altri gruppi, allo scopo di affermare la propria caratura e incutere timore e soggezione anche in coloro che, pur frequentando gli stessi luoghi, sono estranei alle logiche malavitose”.
Un fenomeno che è costantemente sotto osservazione per le forze dell’ordine: “L’abitudine delle giovani leve, i rampolli dei clan, a entrare armati in discoteca è un’abitudine che si sta quasi normalizzando, con l’uso della droga e della violenza in generale – precisa il procuratore aggiunto e coordinatore della Dda, Francesco Giannella – Le discoteche sono luoghi di ritrovo dei rampolli che si affrontano per dimostrare a tutti chi è più forte. E questo è il classico modo mafioso per incutere timore e senso di assoggettamento in tutti”. Non a caso, quindi, Giannella ha ricordato diversi episodi di risse fra ragazzi dei clan nelle discoteche di Bari e provincia, accaduti fra il 2021 e il 2024. Fra questi, la lite fra Christian Capriati e un giovane legato al clan Strisciuglio, appena tre giorni prima dell’omicidio di Raffaele Capriati nell’aprile 2024 (padre di Christian e nipote del capoclan Antonio).
“Sollecitiamo i gestori dei locali a servirsi di società serie e affidabili, perché questi fenomeni vanno inquadrati in una serie di situazioni della nostra società che stanno sfuggendo di mano”, aggiunge Giannella. Come ricostruito dalle indagini, infatti, le guardie del corpo presenti al Bahia la notte dell’omicidio di Antonella Lopez non erano a norma.