Un progetto artistico nato da lunghe chiacchierate sull’arte, e sul senso della vita. DiRò è la sigla che fonde i nomi di Patrizia Rossini e Vincenzo Di Cillo, e si traduce in una serie di opere – quadri, ma anche sculture – che si sono fatte conoscere nel tempo in diverse mostre. Ora si va a Roma: DiRò approda da AAIE Center for contemporary art grazie a “Prologos – Alchimie fantastiche”, progetto curato da Francesco Gallo Mazzeo (via Sermide 7). L’inaugurazione è prevista per il 21 marzo, le opere resteranno in mostra fino al 9 aprile (dal martedì alla domenica dalle 16,30 alle 21) e portano quindi fuori dalla Puglia un discorso artistico partito nel 2018. Dopo una primissima fase di sperimentazione pittorica, rifacendosi alle opere “Oxidation” di Andy Wharol (lavori su rame trattato con l’urina), i DiRò si sono cimentati con una lastra trattata alla stessa maniera.
Da quella prima tela, “Urea”, ne sono state realizzate tante altre, in evoluzione continua. Gli stessi colori che il rame assume nelle varie sperimentazioni sono frutto di studio costante e consapevole. Le opere in rame supportate da un testo e dalla registrazione dello stesso da una attrice, vengono pian piano apprezzate a vari livelli. “Il lavoro di Patrizia Rossini e Vincenzo Di Cillo, che si sono fusi nella sigla di DiRò, è diventato un percorso di luce, di uno scavo di liberazione dall’ombra, dall’inconscio, per formare un reticolo di personalità, che si fondono nell’intimo e il segreto, ma vogliono diventare altre porzioni di ragione, di analisi, di filosofia, anche di teologia, che non vuole affatto realizzare tutto all’ora di mezzogiorno, ma vuole anche farsi compagnia con l’oniricità, con l’autoreferenzialità, con la tautologia, che si fa terapeutica dell’anima, accettando di lavorare duramente la materia per farla diventare componente leggera dell’ombra, che d’altra parte esiste solo in presenza della luce, perché un corpo immerso nel buio non ha parti oscure, non ha ombra – si legge nella presentazione della mostra romana – L’ingresso tra il fuori e il dentro, è in questo punto, dove l’emozione inizia a diventare coscienza, anche se confusa e priva di riferimenti concreti. Ma non c’è altro, fermarsi o andare oltre”.
Il percorso dei due artisti è “in sintonia con la più ardita modernità, proprio perché portano dentro il senso della tradizione, le modulazioni del classico, le spiralità del barocco e tanto senso romantico, sono fuori da questa strettoia e lavorano i materiali con grande attenzione, ora rude, se è necessaria la rudezza, ora decorativa sé è necessaria la decoratività, applicando con rigore il loro modo di sapere fare con quello di fare apparire, affidando un compito importante alla pellicolarità, come forma visibile della seduzione, che nella condizione di astrazione, informale, rende più chiaro il proposito di dare una grammatica e una sintassi a tutta una poetica di confine, dove il farsi e il disfarsi del linguaggio è continuo, in un susseguirsi di incantamenti che sospendono il fiato, in quanto introducono in un enigma che non è una ricercatezza volontaria e criptica, ma una necessità intima dello svolgersi del tema poetico, che è lo svolgersi della vita stessa”.