Baby gang che terrorizzano i residenti, picchiano migranti, si rendono protagoniste di atti di vandalismo. Cosa sta succedendo nel quartiere Libertà, a pochi metri dal Redentore? Lo abbiamo chiesto a Don Luca De Muro, prete e direttore dell’oratorio della chiesa Redentore, cuore del quartiere.
Don Luca, ha notato un inasprimento del fenomeno baby gang, come sembrano riportare le cronache?
“Parlare di fenomeno è eccessivo, penso sia la punta di un iceberg, di qualcosa sotto di molto più profondo e viscerale, che in questo momento faticoso sfocia in episodi come quelli visti nelle ultime ore. Alcuni di loro li conosciamo, fanno parte del nostro oratorio, molti sono cresciuti qui e questo è il motivo che non mi permette di identificarli nel sillogismo di baby gang, perché di molti conosco la vita e il percorso di accettazione e rifiuto con la quotidianità che vivono, spesso ostile”.
Ha notato una deriva razzista o discriminatoria in alcuni di loro?
“Penso che la chiesa Redentore insieme alla scuola Don Bosco, a 20 metri dal nostro portone, sia rimasto attualmente l’unico polo di integrazione nel quartiere. L’oratorio conta ben 250 iscritti tra baresi autoctoni ed extracomunitari. Se lei viene qui in un pomeriggio ordinario, sentirà tra i campi, parlare almeno quattro o cinque lingue diverse. C’è una buona integrazione. I ragazzi che qui crescono e diventano adulti, imparano a vivere con il diverso. Quelli che attenzioniamo, che arrivano dalle case famiglia, non sono razzisti. Abbiamo toccato con mano che è il nucleo da cui provengono, la famiglia, a non possedere gli strumenti per spiegare l’accettazione dell’altro, diverso per pelle, etnia, religione o disabilità”.
Cosa fa la chiesa? Ci sono dei progetti?
“Intanto il nostro oratorio è aperto sempre, offre attività di sport, laboratori interculturali, è piaciuto molto quello di cucina, abbiamo un progetto dedicato ai podcast, corsi di danza classica o moderna”.
Qual è la risposta del quartiere?
“Bassa, a volte inesistente, abbiamo chiuso corsi e attività perché non si è iscritto nessuno. Il calcio va per la maggiore. I ragazzi passano qui poche ore della loro giornata, se va bene tre, ma molto più spesso solo una, capisce bene che il nostro lavoro, su base educativa e valoriale, si disperde se veniamo lasciati soli. Dice un proverbio africano, PER EDUCARE UN RAGAZZO C’è BISOGNO DI UN VILLAGGIO. Dopo di noi il villaggio non c’è. Da soli, non possiamo arginare un fenomeno legato a povertà e scarsa istruzione, abbiamo bisogno di una rete che ci supporti. Le istituzioni non ci sono”.
Ho visto girare polizia e carabinieri, allora ci sono?
“Sono qui da una settimana, vanno e vengono, hanno video, foto, sanno tutto, ma le dico che ieri sera i ragazzi più vivaci erano tutti in piazza, con i loro cappucci. Sono consapevoli che non accadrà nulla, se li interroghi ti rispondono ‘sono minorenne, che possono farmi’. Le forze dell’ordine dovrebbero dare loro un segnale forte. Altrimenti rischiamo di rovinare per sempre le loro vite. Alcuni di loro lo fanno perché obbediscono alla legge del branco, a quella del più forte, per essere accettati. La chiesa fa la sua parte ma da sola è una goccia nel mare. Questi ragazzi non conoscono paletti, genitori, scuola, istituzioni, li valicano continuamente. Se continuiamo così abbiamo fallito tutti”.
Cosa sta cercando di dirci, Don Luca?
“Gliela faccio breve: l’anno scorso nella notte di Halloween hanno buttato le uova, quest’anno uova e pietre, qualcuno ha reagito e le ha prese. L’anno prossimo cosa dobbiamo aspettarci? Ci sono notti che somigliano a un far west. Noi come oratorio siamo rimasti chiusi, molti esercizi commerciali hanno fatto lo stesso. La festa non è quella delle streghe, è diventata la notte del terrore”.
Qual è la risposta della chiesa?
“Continuare nella nostra missione che non è solo quella di profetizzare la parola di Dio, ma quella più umana e sociale: offrire un supporto a chi ne ha bisogno, avvalersi di volontari come Alessandro (un ragazzo giovane che dà una mano a Don Luca e che ci dice: “Faccio il tutor di scuola, l’animatore e l’educatore dell’oratorio, sono figlio anche io di questo quartiere che ha subito e sta subendo una forte metamorfosi. E’ difficile, ma non si molla. N.d.r.)”.
L’intervista si chiude con una stretta di mano e tanta speranza negli occhi di Don Luca. Quella stessa che abita in molti abitanti di un quartiere.