In via Alessandro Manzoni a Bari, al civico 29, si erge Palazzo Manzoni, uno scrigno di magia e storia nel cuore del quartiere Libertà. La sua facciata, una volta color terra di Siena, che lo scorrere del tempo ha trasformato in fumo di Londra dal sapore gotico, spicca imponente sulla via, ricordando ai passanti la bellezza che fu. Il grande portone di legno, su cui è stato costruito il balcone patronale, si apre lasciando il fiato sospeso.
Entrando, la sensazione è quella di trovarsi dentro un luminoso atrio interno circolare che riecheggia le quinte di un teatro. A terra, chianche scure e consunte, abbracciano sei colonne che svettano longilinee a sorreggere la volta a botte dell’edificio. Intorno la storia, quella di Renzo e Lucia, incastonati dentro nicchie di pietra; le statue dei “Promessi sposi” sono una di fronte all’altra, a memoria di un amore distante e disperato. Una terza nicchia ospita un’altra figura, forse un menestrello; originariamente tutte e tre in bronzo, furono depredate nel dopoguerra e in un secondo tempo riprodotte fedelmente in pietra, così come si presentano oggi. Altre nicchie sono sparse qua e là, ma vuote di storia e di personaggi.
“La prima pietra del palazzo fu posta intorno al 1870 – racconta il signor Morgese, abitante storico del palazzo – e il primo acquisto di un appartamento compare in un rogito datato 1890”. La certezza deriva da alcune carte di cui Morgese è venuto in possesso per riunioni condominiali. Costruito insieme ad altri edifici del quartiere, come quello che porta lo stesso nome e che si affaccia su piazza Risorgimento, si racconta che a volerlo sia stato un tale Triggiani, ricco mercante barese, che innamorato dell’opera manzoniana, denominò così i palazzi. Se questa storia fosse vera, la via che da sempre si divide in due, laddove un isolato segna il confine con il quartiere Libertà e l’altro con il Murat, prende il nome proprio da questo storico edificio.
I piani sono tre, costruiti su balconate a ringhiera. Il secondo, quello nobiliare con volte che toccano i cinque metri di altezza, il primo e l’ultimo, invece, un tempo, relegati alla servitù. Oggi, questa distinzione è, ovviamente, venuta meno. Nell’atrio troviamo le “campanelle” incassate nel muro, che servivano a garantire la sosta senza fughe di cavalli, asini e muli ai tempi in cui il mondo si muoveva al ritmo del loro passo. Al centro, tantissimi anni fa, si trovava una vasca comune impiegata per raccogliere l’acqua piovana che cadeva dall’alto e utilizzata dalle botteghe che si trovavano al piano terra. Un tempo, l’atrio era aperto: solo negli anni ’60 furono poggiati dei pannelli per chiudere il pozzo luce e porte murate chiudono l’accesso ai negozi di oggi. Vestigia dei tempi che furono. Il palazzo, dunque, segnava esattamente l’ultimo confine del rione Libertà. “Nella piantina del catasto compare un triangolino allo stesso angolo in cui sorge questo palazzo – continua l’inquilino che, musicista di professione, racconta di quando Roberto Murolo, famoso cantautore partenopeo, venuto in concerto a Bari, per un caso della giornata, si trovò con lui ad entrare nel palazzo: “Mi pare di stare a Napoli”, esclamò, e ne rimase affascinato.
La storia del palazzo è intrecciata da sempre a quella della musica: si dice che ancora oggi sia abitato da artisti, soprattutto musicisti. È di qualche tempo fa una rappresentazione musicale svoltasi nell’androne che all’occasione si è trasformato in palcoscenico mentre sopra, i ballatoi a ringhiera sono diventati logge di teatro. L’incantesimo viene rotto dall’evidente decadimento del palazzo. Mura bianche come fazzoletti inamidati hanno lasciato il posto a intonaci invecchiati e umidi, cavi elettrici percorrono i muri come vermicelli scoperti mentre al centro dell’androne la modernità si è fatta posto attraverso l’installazione dell’ascensore, un arsenale di ferro e viti che cerca di convivere con l’eleganza di un passato che, nonostante tutto, resiste con fierezza ai segni di un tempo ineluttabile.