A 80 anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale, la città di Bari custodisce ancora moltissimi rifugi antiaerei risalenti a quegli anni. La storia serpeggia nelle viscere della terra, percorre i quartieri Madonnella, Stanic, Libertà, Carrassi e borgo antico: tutti, nessuno escluso, tra gli anni ’36 e ’45 del secolo scorso, sono diventati ventri entro cui la città, proprio come una madre con i figli, ha protetto i suoi abitanti dalle bombe.
Bari, nel 1936, obbedì al decreto regio che impose l’obbligo a tutti gli edifici pubblici e privati di costruire, a proprie spese, nascondigli sotterranei salvavita. Se ne fecero ben 150 ed erano indicati da cerchi con frecce laterali in cui veniva segnalato l’indirizzo e la “R” di rifugio. Molti di essi, con il passare del tempo, sono stati rimaneggiati o addirittura cancellati. Un lavoro di mappatura dei rifugi messo a punto negli anni da esperti di archivistica urbana, consente di tracciarne il percorso. Uno di questi ci porta dritti nel cuore del quartiere Libertà, sotto l’edificio scolastico Don Bosco.
Mai come in questi ultimi anni di tensioni internazionali, di guerre vicine, di sangue e di dolore è possibile, quasi senza far ricorso alla fantasia, sentire il suono delle sirene, delle urla ansiate, del calpestio irrequieto e svelto di piedi che vogliono mettersi in salvo.
Si scende dall’esterno dell’edificio alzando una botola di ferro, recentemente cambiata perché arrugginita e pericolante, oppure dal giardino interno della scuola. Una scalinata in tufo conduce direttamente entro una stanza dove compaiono tavole in legno da cui ricavare letti di fortuna, bauli pieni di divise e abiti impolverati, panche in pietra dove sedersi in attesa che il rumore assordante delle bombe e della paura smettesse per ricominciare a respirare. Man mano che si percorrono cunicoli bui e freddi, saltano fuori utensili da cucina, vecchie damigiane e forse un ciuccio per calmare il pianto di un bambino spaventato. L’intenzione però, non è solo quella di raccontare, ma di far conoscere ai più un pezzo di storia della città sotto le bombe: è il progetto che Luca Bratta, consigliere del Municipio 1, ha portato in Commissione: “Un luogo dimenticato – racconta – che merita di essere riscoperto, un modo per donare dignità ai nostri nonni”.
L’obiettivo è di trasformare il rifugio della scuola Don Bosco in uno spazio vivo, di culto e perché no un museo aperto a scolaresche e turisti. Un progetto di riqualificazione ambizioso ma non impossibile il quale prevede la messa in sicurezza del rifugio, la predisposizione di un percorso interattivo, di impianti di illuminazione per organizzare mostre e visite guidate, un luogo della memoria ma anche sito culturale che ha colpito la Commissione Cura e promozione del territorio e Annamaria Ferretti, presidente del Municipio 1.