L’Italia è un museo a cielo aperto. Così piccola, così grande: la nostra è la nazione con il più alto numero di beni Unesco al mondo. Poter ammirare le opere d’arte disseminate per lo Stivale è un momento unico. Poter lavorare sulle stesse opere d’arte è un privilegio e un onere. Lo sa bene Maria Di Leo, giovane restauratrice barese laureata all’Accademia di Belle Arti a Udine, specializzata in restauro di affreschi di dipinti murari, che in occasione del Giubileo ha contribuito a restaurare la Fontana del Nettuno a Roma.
La sua storia va raccontata ed è lei stessa a farlo: “Mentre lavoravo su un cantiere a Canosa di Puglia, mi hanno chiamata per unirmi al gruppo di restauratori che operava sulla Fontana del Nettuno, in quanto vi era necessità di portare a termine i lavori prima dell’apertura della Porta Santa, entro dicembre”. Roma è un gioiello di opere d’arte incastonato nella nostra nazione e per l’occasione è stata cantierizzata con circa 150 postazioni. “Quando mi hanno chiamata ho avvertito subito l’emozione di poter mettere le mani su quel tipo di opera: nel nostro settore si lavora su opere che non hanno una datazione che sia per forza antichissima, poiché i beni vengono vincolati dalla Soprintendenza dopo 70 anni di anzianità – spiega Maria – d’altro canto è come se in mezzo a tanti cantieri sei solo un tassello. Attorno alla città c’è un movimento e fermento turistico esagerato e si avverte l’essere sotto la lente dei turisti che guardano e cercano di fotografare un monumento ricoperto per via dei restauri. Certo, per loro è penalizzante e ci carica di responsabilità e orgoglio essere parte di quelle “imbarcazioni” che danno il loro contributo per restituire ai turisti la visione di queste opere. Le postazioni cantierizzate erano state dotate di finestrelle in plexiglass attraverso le quali affacciarsi per permettere ai turisti di godere almeno un poco di quelle meraviglie. La cosa più bizzarra è proprio lavorare mentre le persone cercano in tutti i modi di fotografare un pezzetto di quello su cui tu stai mettendo mano: sembra una sorta di acquario”, sorride Maria.
“Il mestiere del restauratore carica di un grande senso di responsabilità, in quanto l’approccio con l’opera deve essere fatto con il massimo della cautela e sotto le direttive di occhi esperti che attenzionano i lavori, a prescindere dai controlli della Soprintendenza che fa le sue visite, controlla i progetti e l’esecuzione. Io amo definire me i miei colleghi “i medici delle opere d’arte” perché i nostri pazienti sono le opere d’arte: quando ci approcciamo cerchiamo anche di vedere e pensare quello che l’artista voleva fare e intendere. Il restauro non può modificare o alterare assolutamente quelli che erano i tratti, i gesti, i pensieri dell’artista del tempo. Non inventiamo assolutamente nulla. Moltissimi fraintendono, nel senso che si pensa che la cosa venga portata quasi a nuovo, ma è sbagliatissimo, è un errore: il restauratore non è un artista ma è “il medico delle opere d’arte” che cerca di capire il proprio paziente e cerca di capire quali sono stati gli intenti dell’artista stesso. Nel nostro mestiere tutto viene studiato attentamente prima, tutto parte con un progetto iniziale, viene fatta una indagine di tipo diagnostico per capire quali sono i danni; si decide se fare un intervento conservativo (di messa in sicurezza, per eliminare gli attacchi che l’opera può aver subito nel tempo) o estetico; poi si presenta il progetto alla Soprintendenza che lo visiona e infine si cercano le persone più adatte a mettere le mani sull’opera in base a una mappatura di quale è lo stato di degrado. Ci sono una serie di passaggi e step precedenti che sono le linee guida e l’approccio è con il massimo della cautela, dello studio e della valutazione. Non è mai fatto nulla per caso. Per esempio, la Fontana del Nettuno, un po’ come tutte le altre fontane, aveva delle problematiche legate allo strato di calcare, piuttosto robusto che andava pulito e stuccato in alcune parti in quanto il calcare depositato era piuttosto spesso, andando a coprire quelle che sono le parti decorative”.
Spesso tante meraviglie le abbiamo sotto gli occhi e non lo sappiamo. “L’Italia è piena di grandi scoperte e posti spettacolari: in passato ho avuto l’onore di lavorare sulla facciata della Pinacoteca nazionale di Siena, che è stupenda. Tante bellezze, però, le abbiamo anche nella nostra regione. Il mio primo cantiere è stata la Cattedrale di Bari, San Sabino che aveva la particolarità di un colonnato con ogni colonna di un marmo di colore diverso e quindi si facevano le malte per colorare le parti da stuccare con gli stessi inerti, e quindi gli stessi colori che simulavano quel marmo e la bellezza di quella cattedrale, la cui cripta che è meravigliosa”. La Puglia è costellata di una serie di chicche, forse ignote agli stessi abitanti. Maria svela qualche tappa che merita di essere vista: “Tra tutte le cattedrali che ho toccato, quella di Ruvo è, a mio parere, ineguagliabile, con i suoi meravigliosi lavori in pietra sui capitelli. E poi c’è Brindisi, San Vito dei Normanni, dove vi è uno splendido sito poco conosciuto, ma che è bellissimo dal punto di vista iconografico: si tratta della cripta di San Biagio. È una grotta divisa in due parti: una zona seicentesca dove è presente un piccolo affresco e un’altra parte risalente al 1100 all’incirca, zona dedicata ai fedeli, tant’è che son presenti panche in pietra, mentre la volta e il perimetro della grotta sono affrescate e si può leggere una sorta di Bibbia istoriata sulle pareti. Iconografica, murale – racconta Maria – e ricordo perfettamente la particolarità e la bellezza dei colori nelle fattezze dei personaggi sacri dipinti con le aureole decorate a rilievo e pigmenti ricavati da materiali come madreperla, dagli ossidi e dalle terre. Uno spettacolo di fronte al quale si rimane senza parole”.