Nel quartiere tutti la chiamano “la nostra farmacia”. Perché quella che il dottore De Giglio definisce “il sacro tempio di Galeno”, nel Villaggio Trieste dal 1981 è in fondo un angolo di casa. Un luogo di confidenze. Uno spazio per la cura del corpo e dell’anima, cui affidare le richieste scritte a penna su fogli di giornale, pacchetti di sigarette, e perfino un triangolo di compensato utilizzato per accogliere le necessità del falegname del quartiere.
Le memorie del dottore Vincenzo De Giglio (farmacista barese dal 1970) sono racchiuse in un quaderno. “E’ il mio diario – racconta Vincenzo De Giglio, 76 anni per l’Anagrafe, da più di quaranta farmacista del Villaggio Trieste di Bari – che conservo con tenerezza, senza alcun giudizio nei confronti di chi nel tempo mi ha affidato questi appunti con le richieste di farmaci, riportate non sempre in maniera precisa”. E in effetti i “pizzini” del dottore De Giglio strappano sorrisi (talvolta anche qualche benevola risata) perché hanno il sapore dei bigliettini con la lista della spesa delle nostre nonne, che a fatica riuscivano a stare dietro a centinaia di nomi commerciali dei marchi all’ultima moda.
“Il mio quaderno ha 52 anni – confida Vincenzo De Giglio – Ho cominciato a raccogliere i bigliettini che arrivavano in farmacia, spesso portati dai bambini quando le mamme restavano a casa a crescere i figli, tanti figli”. Negli anni Settanta “la guerra non era così lontana – ricorda – e le sacche di analfabetismo erano diffuse nella popolazione”. Il dottore non è mai giudice (ci tiene a precisare), piuttosto padre comprensivo verso chi non ha possibilità di esprimersi al meglio nella scrittura. I “pizzini” sono meravigliosi, e gli aneddoti infiniti. A sfogliare la galleria di foto, impossibile non sorridere.
“Un tempo si usava la polvere di aloe, amara, da mettere sul ciuccio del bambino o sul capezzolo, per disincentivare i piccoli – sorride il dottore De Giglio – ma nessuno sapeva scrivere correttamente la richiesta”. Così negli anni “la polvere di aloe” è diventata genericamente “il nome suo”, nella sua dicitura dialettale. E quando qualcuno in farmacia chiedeva “il nome suo” (detto così, alla lettera), il dottore sapeva cosa cercare. “Non c’è progresso se c’è dimenticanza del passato”, ripete De Giglio, che ha mosso i primi passi da farmacista quando ancora nel turno di notte i vigili urbani non avevano la ricetrasmittente e “si davano voce col fischietto”. “L’approvvigionamento era scritto a mano su foglietti, poi arrivò il fax – confida – In farmacia si parlava sotto voce, il bancone era altissimo per nascondere il dottore e nel retrobottega c’era la ‘cucina’ con ripiano in marmo per preparare le pomate”.
Per 26 anni Vincenzo De Giglio ha gestito la farmacia di via di Maratona, poi sono arrivati i figli a supporto. “Quando fai questo lavoro in un certo modo, inevitabilmente diventi un punto di riferimento, uno di famiglia – è uno degli aneddoti più cari custoditi dal dottore – C’era un vecchietto che veniva in farmacia solo per chiacchierare. ‘Mi faccia parlare dottore, sono solo’, diceva. E io sapevo che la nostra mezzoretta insieme era la sua migliore terapia”.
La storia di Vincenzo De Giglio e del Villaggio Triste è contenuta in un bellissimo docufilm, che potete guardare a questo link.