Cinque mesi di indagini serrate, incrociando gli indizi e passando al setaccio le immagini delle telecamere. Senza farsi distogliere da false piste, in primis la lettera anonima trovata nello studio del professionista barese, che avrebbe rischiato di confondere le indagini. Cinque mesi in cui la città si è chiesta se mai si sarebbe arrivati a soluzione del mistero sull’omicidio di Mauro Di Giacomo. A raccontare le difficoltà e le intuizioni che hanno permesso alle indagini sull’omicidio del fisioterapista e osteopata barese Mauro Di Giacomo di arrivare a una svolta, sono in conferenza stampa il Procuratore Capo di Bari, Roberto Rossi, e il procuratore aggiunto Ciro Angelillis. Sono loro a spiegare come si è giunti all’arresto di Salvatore Vassalli, operaio edile di 59 anni di Canosa, che avrebbe nutrito rancore nei confronti di Di Giacomo perché lo accusava di avere causato danni permanenti alla figlia dopo una seduta di fisioterapia alla mano. “Nessuno può illudersi di sfuggire alla Procura e alla Polizia giudiziaria di Bari”, è il messaggio degli investigatori, che hanno cercato riscontri attraverso i tabulati telefonici, agganciando le celle al percorso in arrivo e uscita subito dopo l’omicidio. Le indagini non sono state facili, come dimostra il fatto che il caso non si sia risolto in poche ore. Sono state subito passate al setaccio le immagini delle telecamere di videosorveglianza, ma non tutte si sono dimostrate particolarmente ‘performanti’, soprattutto nelle ore serali.
L’AUTO E L’INCERTEZZA AL SEMAFORO
A consentire agli investigatori della squadra mobile di individuare il presunto assassino è stata l’auto con cui è fuggito, una Hyundai I 10 scura, ripresa dalle telecamere a un semaforo poco distante dal luogo dell’omicidio, a Poggiofranco. Gli investigatori sono partiti dalle sole due cifre della targa visibili e, con un lungo lavoro, sono riusciti a risalire al 59enne. “Gli indizi non ci sono venuti incontro, ma ce li siamo andati a prendere”, commenta la Procura. Determinante in tal senso il video di una telecamera posizionata più o meno all’altezza di un semaforo di via Camillo Rosalba (all’angolo con via Escrivà e via Madre Teresa di Calcutta). “La cosa che immediatamente hanno constatato i validissimi uomini della Squadra Mobile coordinati dal dottor Portoghese è che in orario compatibile all’omicidio, tre o quattro minuti dopo, si è vista un’autovettura della stessa tipologia di quelle riferite dai testimoni che parlavano di un’auto a bordo della quale l’omicida era fuggito: la cosa che ci colpisce è l’andamento incerto, perché si ferma al verde di quel semaforo, temporeggia, deve orientarsi, quando il semaforo diventa rosso procede e passa col rosso, non si accorge del divieto di accesso. Quindi fa qualche metro nella direzione vietata poi si accorge del divieto di accesso torna indietro e gira a destra e guadagna la tangenziale”. Un’incertezza che cattura l’attenzione degli investigatori, costata cara al presunto omicida.
I SOPRALLUOGHI
La vittima aveva una causa civile in corso: a chiedere un risarcimento dei danni per responsabilità professionale era stata una donna (con problemi sin dalla nascita) che riteneva di aver subito delle lesioni in seguito a una manovra fisioterapica. Gli investigatori hanno accertato che il padre di questa donna era possessore di una macchina ‘Hyundai I 10’, compatibile con quella ripresa dalle telecamere. Dalle immagini, però, non era possibile identificare esattamente la targa, ma si individuavano soltanto due dati alfanumerici che comunque erano coincidenti con quelli della targa del presunto omicida. Gli accertamenti sono stati “meticolosi”, “per arrivare a esiti inconfutabili”, dice la Procura: sono state infatti cercate tutte le autovetture Hyundai I 10 di quella tipologia immatricolate dopo il 2007. Sono state ricostruite tutte le volte che l’uomo è venuto a Bari, constatandone le motivazioni. Tutte trasferte giustificate (anche per ragioni familiari), tranne che in due occasioni: in un caso in particolare, una domenica di febbraio, sarebbe avvenuto il sopralluogo prima del delitto, secondo la tesi della Procura, che ha agganciato le celle telefoniche di Salvatore Vassalli sotto casa del fisioterapista.
IL MOVENTE
Vassalli era “morbosamente legato alle sue figlie”, “riteneva di essere stata vittima di una grande ingiustizia” e “non ha avuto la pazienza di aspettare l’esito di questa vertenza civile che era in corso”. Sulla vicenda era stato nominato anche un perito, che avrebbe ridimensionato le accuse, riferisce la Procura. Lo stesso Di Giacomo aveva rigettato la proposta di transazione non ritenendosi colpevole e stava scrivendo di suo pugno una memoria difensiva, proprio nelle ore precedenti all’omicidio.