Nove persone sono state arrestate all’alba di oggi a Bari perché ritenute responsabili a vario titolo dell’omicidio del 24enne Walter Rafaschieri e del tentato omicidio del fratello Alessandro, di 34 anni, ferito alle gambe, salvato dai medici, ma rimasto paralizzato. A finire in manette, per mano degli agenti della Polizia di Stato, anche capi e affiliati al clan Parisi-Palermiti.
In carcere sono finiti Giovanni Palermiti detto Gianni, 45 anni, figlio del capo clan Eugenio. Filippo Mineccia detto “U’ russ”, di 37 anni, genero di Eugenio Palermiti. Michele Ruggieri, di 35 anni. Riccardo Campanale, di 27 anni. Domenico Lavermicocca, di 31 anni. Giovanni Mastrorilli detto “Nino”, di 45 anni. Francesco Triggiani, di 45 anni. Gianfranco Catalano, di 36 anni. Tutti censurati. Le manette, però, sono scattate anche ai polsi di Domenico D’Arcangelo, 53 anni, comandante della Polizia Locale di Sammichele, non direttamente coinvolto nel delitto, ma accusato di aver favorito l’attività dei pregiudicati finiti nella rete della DDA.
I fatti contestati agli arrestati risalgono alla mattina del 24 settembre del 2018. In via Donato Menichella, all’altezza del cosiddetto ‘tondo’ di Carbonara, mentre viaggiavano in sella a uno scooter, i fratelli Rafaschieri vennero raggiunti da diversi colpi di pistola sparati da due auto in corsa. Il più piccolo morì sul colpo, mentre l’altro rimase gravemente ferito.
Gli investigatori hanno inquadrato l’omicidio nella faida per il controllo del traffico e dello spaccio di droga in alcuni quartieri di Bari. Da una parte il clan Parisi-Palermiti, dall’altro il clan Strisciuglio. Dalle indagini è emerso che l’agguato fu commesso da un commando armato composto da Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, che lo idearono, organizzarono ed eseguirono con l’intento di assassinare entrambi i fratelli Rafaschieri.
Alle fasi di pianificazione del delitto parteciparono attivamente anche Michele Ruggieri e Riccardo Campanale, che fornirono le armi e il materiale necessario alla realizzazione del blitz criminale sulle strade di Carbonara, a cui presero parte anche Gianfranco Catalano, con il preciso compito di segnalare al commando l’arrivo delle vittime, e Domenico Lavermicocca, il quale, nelle fasi immediatamente successive all’omicidio, si adoperò per disperdere ogni traccia o elemento che potesse ricondurre agli autori dell’azione di fuoco. Domenico D’Arcangelo, comandante della Polizia Locale di Sammichele, dopo l’omicidio, consentì a Palermiti di costruirsi un alibi. Ai due sodali storici del clan, Giovanni Mastrorilli e Francesco Triggiani, nelle indagini, è stato contestato il porto e la detenzione di armi da fuoco.