Domenico D’Arcangelo, 53enne, comandante della Polizia Locale di Sammichele, finito oggi in carcere nell’ambito dell’indagine della DDA sul duplice agguato mafioso che il 24 settembre 2018 causò la morte di Walter Rafaschieri e il ferimento del fratello Alessandro, vero obiettivo dei killer, avrebbe aiutato il 45enne Giovanni Palermiti, figlio del boss Eugenio e tra gli esecutori materiali dell’omicidio, a costruire un alibi.
Avrebbe cioè indotto una sua vigilessa a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, una multa per guida contromano che il killer ha poi anche pagato, per attestare la presenza di Palermiti a Sammichele nel giorno e nell’ora del delitto. In cambio, D’Arcangelo avrebbe ricevuto un iPhone del valore di 800 euro e un’elevata somma di denaro il cui importo non è stato accertato.
Per questa vicenda il comandante risponde di corruzione e falso con aggravante mafiosa. Durante le indagini, poi, avrebbe tentato di indurre la stessa vigilessa, anche lei indagata per falso, a dire agli inquirenti di non ricordare. “Quelli non hanno le prove, se no avrebbero già fatto” sono le frasi pronunciate da D’Arcangelo emerse nelle intercettazioni. Poi il suggerimento: “Non mi ricordo – le ha detto di dire – ripeti la teoria che non ricordi niente”.
In tutto, a sostegno dell’accusa, ci sono 230mila intercettazioni telematiche, telefoniche e ambientali. Oltre alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Milella, terzo componente del commando in strada il 24 settembre del 2018 con Palermiti e un altro degli arrestati.