Alle prime luci dell’alba la Polizia di Stato ha dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari, emessa dal GIP del Tribunale di Bari, a carico di 43 persone indagate per aver preso parte a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. L’operazione è stata portata a termine a Bari e Bitonto, dove stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini il clan Conte, quale ramificazione bitontina del clan barese dei Capriati, aveva messo in piedi una vera e propria azienda dedita alla vendita di cocaina, marijuana e hashish.
Due le piazze di spaccio. La prima e più importante, vero e proprio quartier generale del gruppo protetto anche da portoni blindati, la ‘Zona 167’, in via Pertini. L’altra, di nuova costituzione, la piazza del ‘Ponte’, in via Arco di Cristo: nel centro storico, area in cui da sempre era operativo l’avverso gruppo dei Cipriano. Al vertice dell’organizzazione, secondo gli investigatori, il boss Domenico Conte, mentre Mario D’Elia, quale suo braccio destro, avrebbe avuto il compito di gestire il gruppo qualora Conte fosse stato arrestato. Un gradino più giù, nel ruolo di organizzatori e dirigenti, Francesco Bonasia, Damiano Giordano e Giovanni Palmieri. Gli altri 38 indagati, invece, ricoprivano i ruoli di vedette, spacciatori e trasportatori.
La città di Bitonto, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, ospitava così uno dei più organizzati gruppi di spaccio della Puglia. Un’organizzazione armata e strutturata “al pari di una vera e propria azienda – spiegano dalla Mobile -, in cui i vari adepti venivano remunerati per il loro lavoro con somme settimanali paragonabili a veri e propri stipendi”. E così, nelle piazze di spaccio, dove si lavorava in turni articolati nell’arco delle 24 ore, per ogni settimana spettavano:
– da 300 a 500 euro per le vedette, considerata attività a basso rischio (“…li beccavano la Polizia e non avevano niente addosso…”);
– 1.000 euro allo spacciatore che, in possesso del borsone zeppo di stupefacenti, si occupava della vendita al dettaglio e monitorava il sistema di videosorveglianza;
– 1.500 euro alle guardie armate dislocate sui tetti con il compito di difendere la roccaforte dalle altre organizzazioni criminali;
– 1.500 euro al responsabile della piazza che si occupava anche dei rifornimenti, per il quale, a seconda della buona gestione della vendita, poteva giungere un ‘bonus’ mensile fino a 5.000 euro.
Una vera e propria ditta dove il capo, da vero manager, in occasione delle festività elargiva gratifiche in denaro, bottiglie e panettoni. Allo stesso tempo, inoltre, imponeva, rigide regole quotidiane: orari di rientro a casa, responsabilità diretta del materiale affidato, fosse droga o armi, rigida compartimentazione delle informazioni all’interno del gruppo (come i luoghi di occultamento della droga e delle armi), per garantirne l’impenetrabilità.
Gli introiti dell’azienda si aggiravano dai 20 ai 30 mila euro al giorno, riuscendo a smerciare mensilmente 30 o 40 chili di droga. La Polizia è anche riuscita a individuare e smantellare una fitta rete di videosorveglianza abusivamente installata nelle pubbliche vie, per avere contezza dell’eventuale arrivo delle forze dell’ordine e vigilare sull’operato degli adepti e quindi sull’andamento “dell’attività aziendale”. Da quanto emerso, l’organizzazione si riforniva continuativamente da importanti grossisti di Bari (quartieri Madonella e Japigia) e Terlizzi.