Siamo arrivati al quarto appuntamento con la nostra rubrica dedicata al Bari dei baresi e, a proposito di baresità, il pensiero non può che andare a un altro barese che ha militato in quel gruppo: Gigi Nicassio. Centrocampista di movimento, con il ruolo di mezzala, è stato uno dei conquistatori della Coppa Italia Primavera vinta nel 1981, venendo poi lanciato in prima squadra da Catuzzi. Soprannominato “u gnore” a causa della sua scura carnagione, con la maglia del Bari ha totalizzato, nei due campionati di B, diciotto presenze, nove delle quali nella memorabile stagione 1981-82. Oggi, 62enne, è titolare di una scuola calcio che porta il suo nome: la ASD Nicassio.
Il Bari dei baresi è stato qualcosa di straordinario, di magico, che resterà per sempre stampato nella mente e nel cuore dei tifosi. Ancora oggi, è ricordato come il Bari più affascinante della storia.
Allora Gigi… cosa significa per te il Bari dei baresi?
“Il Bari dei baresi ha lasciato un grande segno perché dopo quarant’anni ne parlano ancora. Vuol dire che qualcosa abbiamo dato. Noi dobbiamo ringraziare Catuzzi, ma anche lui deve ringraziare noi perché ha trovato ragazzi che avevano fame e voglia di diventare calciatori. In questo momento mi preme salutare con piacere l’ex portiere Gianni Caffaro, uno dei protagonisti della nidiata Catuzzi, che sta combattendo una battaglia importantissima. Noi eravamo una famiglia in cui non c’erano invidia e gelosia ed eravamo tutti uniti con un unico obiettivo e ci siamo riusciti con soddisfazione. Se ti raccontassi qualche aneddoto…”.
Devi raccontarmeli…
“D’accordo con Catuzzi, in ritiro organizzammo dei gavettoni proprio per Caffaro. Il gruppo di alcuni baresi tra cui io, De Rosa, Giusto e De Trizio si posizionò sul balcone al primo piano dell’albergo con tre bustoni d’acqua, in attesa che Caffaro salisse i tre scalini che portavano in albergo. Ogni scalino impiegato da Caffaro, significava un bel gavettone d’acqua. Ne prese tre, ma non si infastidì minimamente e rideva con noi. Caffaro era il più grande d’età nella squadra Primavera, una specie di nostro papà. Quando andammo a giocare ai cantieri navali di Palermo contro Zeman, e gli avversari volevano metterla sulla rissa; noi chiedevamo sempre aiuto a Caffaro. Quel Palermo di Zeman da noi prese quattro gol. A Catuzzi, per scherzo, tirai il costume mentre eravamo in piscina, e mi rincorse arrabbiatissimo”.
Qual è stato il segreto del Bari dei baresi?
“Sapevamo che la palla doveva andare sempre al centro per il mediano, che un laterale si doveva allungare in avanti e così via. Era una squadra che giocava a memoria ed eravamo sempre corti. In B facevamo il 4-3-3 in maniera spettacolare coi terzini Armenise e Frappampina che erano due treni; ora li chiamano Frecciarossa, ma già da allora noi avevamo i freccia d’oro e d’argento (sorride, n.d.r.), e quando attaccavamo, in difesa restavano solo Caricola e De Trizio, stopper e libero, che dopo un anno la gente ancora non capiva chi fossero perché si scambiavano i ruoli con movimenti studiati. Poi c’era De Rosa che era davvero imprendibile perché faceva ammattire i difensori avversari quando li puntava, poi rientrava e li attaccava di nuovo. Eravamo tutti imprevedibili. Questi calciatori, tuttora, giocherebbero a una gamba. Eravamo fortissimi e capaci di fare due partite di seguito senza problemi. Battemmo anche la prima squadra nella partitella settimanale e da quel momento Renna (allenatore del Bari, n.d.r.) non volle più farci giocare contro di loro. Non avevamo paura di nessuno. So che fu Carmelo Bagnato a consigliare Regalia di promuoverci in prima squadra. Ricordo Acerbis che una volta si innervosí perché noi parlavano in dialetto e non ci capiva. Peccato perché la serie A ce l’ha tolta Agnolin a Pisa, dove ci fu proprio un furto”.
Ti sei mai chiesto il perché di quella famosa decisione arbitrale?
“Sì, quell’anno Matarrese passò alla presidenza della Lega e non so cosa successe. Ce l’avevano con noi e ci sono stati segni ben precisi, forse perché eravamo una squadra garibaldina, di ragazzi che venivano fuori dal niente e diventati importanti. Ci hanno castigato e, per colpa di qualcuno, non siamo andati in A. Peccato, ma la cosa più bella è che tuttora, dopo quarantadue anni, si ricordano di noi con grande piacere. È il Bari più bello della storia”.
Quali aggettivi useresti per quel Bari?
“Belli, spettacolari, bravi, intelligenti. Tuttora mi chiedo com’è stato possibile essere riusciti a fare tutto questo”.
Ricordi il tuo esordio in B con il Bari? E il tuo primo gol?
“Esordii a Verona, dove segnò tuo padre (Gigi De Rosa è mio padre, n.d.r.). Mancavano pochi minuti alla fine della gara e Catuzzi, che mi chiamava nero, mi disse di entrare e di non fermarmi più. Avevo una corsa continua, rompevo le scatole (non ha detto scatole ma altro, n.d.r.) dappertutto in campo e al mister piaceva questo tipo di giocatore; ma in campo correvamo tutti. Al Bentegodi finì 3-3. Il primo gol fu col Foggia in Coppa Italia. Perdevamo uno a zero e Catuzzi disse a me e a De Rosa di entrare nel secondo tempo. Io e Gigi rivoluzionammo la gara, e io feci il terzo gol calciando di esterno dal lato dell’area e vincemmo 3-1”.
Anche a Verona ci furono strane decisioni arbitrali…
“A me lo dici?… Ci hanno rubato la serie A”.
Al tuo paese come hanno accolto il Nicassio calciatore?
“Di ritorno da Verona, ad Adelfia mi aspettarono tutti per strada a fare festa. Un ragazzo di paese che giocava nel Bari era qualcosa di magico. A casa mia non avevamo il telefono e il Bari, per le comunicazioni, telefonava a una signora che abitava a 600 metri da casa mia. Quando fui convocato dal Bari per il ritiro estivo di Acquapendente, la signora arrivò di corsa a casa per comunicarmi la notizia. Fu una soddisfazione spettacolare”.
Nell’estate del 1983 hai lasciato Bari per Rimini…
“A Rimini, in C, mi volle Beppe Materazzi che mi voleva un gran bene e che conoscevo perché quando lui allenava la Primavera del Bari e io ero in prima squadra, qualche volta andavo a dargli manforte. Materazzi diventò per me un po’ come Catuzzi, perché prediligeva i giovani ed era molto contento di fare innovazione con noi. Segnai un gol a San Siro contro il Milan, in Coppa Italia”.
Anche Materazzi ha copiato qualcosa da Catuzzi? Quali sono le differenze tra i due tecnici?
“Sì, anche se Catuzzi era inimitabile. Materazzi aveva un gioco fatto più di corsa, con marcature a uomo, mentre Catuzzi era tutto a zona. Catuzzi non si può paragonare a nessuno”.
Parlami di Enrico Catuzzi…
“Ci voleva davvero bene e faceva regali a tutti noi. Mi prestò per qualche sera la sua auto, una Golf GT, e quando giravo per Adelfia la gente mi guardava con grande sorpresa. Catuzzi non voleva che noi giovani comprassimo le auto, per farci restare coi piedi per terra, e io quando andavo agli allenamenti lasciavo la mia auto al Cto per non farmi vedere dal mister. Catuzzi a volte ci trattava male ma a fin di bene, perché ci voleva un bene da morire e lo stesso gliene abbiamo voluto noi. Se lui non ci fosse stato, non so se saremmo diventati tutti giocatori. Tuttora, devo ringraziarlo”.
A che età sei entrato nel Bari?
“A 13 anni feci un provino al campo Rossani e non presi un pallone, facendo solo uno stop al volo. Sentii dire da Santececca, che mi stava visionando, che dovevano prendere Jair (noto calciatore brasiliano dell’epoca, n.d.r.). Quel Jair ero proprio io, a causa della mia carnagione scura. Poi passai alla Primavera di Catuzzi e ricordo quando andammo in ritiro a Pomarico con un pullman tutto rotto, e ognuno con le proprie ciabatte. Non come adesso che hanno tutto pronto, con le cuffiette. Era meglio prima”.
Cosa hai fatto con il tuo primo stipendio?
“Non raggiungeva il milione di lire ma erano tanti soldi e quando li portai a casa si meravigliarono tutti. Andai in via Sparano e mi comprai un bel vestito elegante da Mincuzzi. Fu molto bello per me”.
Chi è stato il tuo idolo calcistico?
“Mi piaceva molto Bacchin e Scarrone, che poi con quest’ultimo giocai insieme ad Alessandria. Da bambino, invece, il mio idolo era Sandro Mazzola. Ero interista”.
Hai un rimpianto?
“A Rimini, una mattina lessi sul giornale che Nicassio era osservato dalla Sampdoria. Materazzi mi disse di non montarmi la testa; poi, a fine anno, la Sampdoria prese Salsano che era piccoletto come me. Chissà la mia vita come sarebbe andata, ma non mi lamento. Ho fatto quello che mi piaceva e grazie a Regalia ho fatto undici anni da allenatore delle giovanili del Bari”.
Che ne pensi del Bari di oggi? E del calcio odierno?
“Il Bari di oggi lo vedo molto indietro. È arrivato Iachini, un allenatore che non lascia nulla al caso e che tira fuori il meglio dai giocatori. In questo momento il Bari deve pensare prima a racimolare punti per la salvezza. Non ha ancora dimostrato niente di valore tecnico in campo. Io da tifoso credo e spero nei play-off, ma non deve più scivolare. Il calcio non mi piace perché comanda certa gente che gira intorno al calcio, che non lavora bene per i ragazzi”.
Tu hai scoperto vari giovani talenti. Oggi manca qualcosa nei settori giovanili?
“Noi facevamo un lavoro capillare col settore giovanile del Bari e avevamo gente importante come De Trizio, Carella, Loseto, Tavarilli e facevamo crescere un ragazzo sin da bambino. Ho grande esperienza nel settore e non so se sarei capace di allenare i grandi, ma se si parla di giovanili qualcuno si deve mettere al lato. Abbiamo scoperto Bellomo, Galano, Castrovilli, Falco. Castrovilli l’ho visto insieme a Giovanni Loseto ed entrambi ci accorgemmo delle sue qualità. Mi è bastato vederlo correre per capire che era già un giocatore. Il nostro occhio fu molto lungimirante”.
Oggi di cosa ti occupi?
“Sono trent’anni che ho una scuola calcio in un centro sportivo di mia proprietà. Alleno gli Esordienti e i Pulcini. Poi seguo il Bari, sono sempre attaccato ai colori biancorossi”.
Se pensi a quello splendido periodo, cosa ti emoziona di più?
“Il coro dei tifosi che sentivo quando uscivo dal tunnel che porta all’ingresso in campo. Lo stesso coro che sento cantare ancora oggi dai tifosi. Mi metteva i brividi ed era spettacolare vedere lo stadio sempre pieno, con più di quarantamila spettatori in ogni partita. I tifosi sono stati magici e sempre pazzi per la maglia biancorossa. Non sono mai cambiati”.
Il Bari dei baresi è irripetibile?
“Magari ci sono tecnici che credono nei ragazzi. A Bari e in provincia ci sono tanti ragazzi che potrebbero benissimo emulare i ragazzi terribili di Catuzzi”.