Il nono appuntamento con la nostra rubrica dedicata al fantastico Bari dei baresi di Enrico Catuzzi è improntato su un barese bomber della Primavera che ha vinto la Coppa Italia e che ha esordito in prima squadra nel magico campionato 1981-82: Emanuele Del Zotti. Un bomber di razza, bravo tecnicamente e abile nel gioco aereo, che ha formato il trio d’attacco della formidabile Primavera con De Rosa e Corrieri. Ha totalizzato tre presenze nella stagione in cui i biancorossi hanno sfiorato la serie A per due punti, e cinque gettoni nel campionato successivo, tutte da subentrato. In carriera, dopo l’esperienza barese, ha militato in serie C e D con Spezia, Bisceglie, Andria, Molfetta, Rossanese, Castrovillari e Igea Virtus, siglando tanti gol. Oggi, 61enne, è allenatore nella scuola calcio “ASD Nick Calcio Bari”.
Il Bari dei baresi è stato qualcosa di straordinario, di magico, che resterà per sempre stampato nella mente e nel cuore dei tifosi. Ancora oggi, è ricordato come il Bari più affascinante della storia.
Allora Emanuele… cosa significa per te il Bari dei baresi?
“Abbiamo fatto la storia di Bari. Non era mai successo che in un campionato italiano venissero lanciati una dozzina di ragazzi in serie B, tutti provenienti dalla Primavera. È stato davvero una favola”.
Quali aggettivi useresti per descrivere quel Bari?
“Eravamo strepitosi, fantastici. Ho avuto la fortuna di avere mister Catuzzi che era un innovatore del calcio. Ricordo che giocavamo sempre a zona e quando giocammo la finale di Coppa Italia Primavera contro il Milan, in cui Fabio Capello era il responsabile del settore giovanile, il loro allenatore non riusciva a capire nulla della partita e un giocatore gli si avvicinò e gli disse ‘mister, ma questi non sono undici, sono ventidue! Li trovo da tutte le parti! Pressano in tre!’. Praticavamo un gioco a zona totale, chiusi internamente. Ora si vedono questi meccanismi, ma noi all’epoca eravamo i primi”.
Come affrontavate le partite?
“Entravamo in campo sempre sorridenti e ci prendevamo in giro, scherzosamente. A Nicassio, per esempio, lo chiamavamo ‘il nero’ o ‘Celentano’ quando rideva, a Pino Giusto ‘la sottotraccia’ perché era piccolino di statura. Si giocava scherzando e ridendo”.
Hai fatto parecchi gol in quella Primavera?
“Sì, il primo anno ne feci diciotto. Nel secondo anno, ne segnai diciotto o diciannove tra campionato e Coppa Italia”
Il tuo gol più bello con il Bari Primavera?
“Come storia, al primo posto metterei il gol nella finale contro il Milan Primavera”.
Descrivimi quel gol…
“Ci fu un’uscita del portiere Vettore e un contrasto con me, al limite dell’area, con la palla che rimase lì e io da terra, con la palla che mi rimbalzava davanti, l’ho messa dentro. Fu veramente bello, ma ci sono tanti gol. Ricordo quando giocammo contro la Fiorentina Primavera sul campo neutro di Bisceglie e mi marcava il difensore Guerrini (poi divenuto difensore di Sampdoria e Como in A, n.d.r.), che era alto due metri. Feci due gol di testa nonostante, rispetto a lui, fossi la metà della metà. Fui bravo ad anticiparlo da dietro. Ma ho avuto la fortuna di avere grandi giocatori e grandi uomini come compagni di squadra, ed era quindi più facile giocare. Merito anche loro. Abbiamo fatto la storia tutti insieme. Si creò qualcosa di magico, è stato bellissimo”.
Il gol più bello della tua carriera?
“Con la maglia del Bisceglie, contro il Pro Matera, in serie C2. Ricevetti la palla, la alzai con l’esterno destro e di controbalzo la misi all’incrocio. Un bel gol, con grande coordinazione”.
A che età sei entrato nel Bari?
“Ho iniziato con l’Italia Nuova, una società di Bari vecchia. All’epoca si prendevano i ragazzi per strada, non era come oggi con le varie scuole calcio. Feci due anni con l’Italia Nuova e due anni nella Nuova Bari, e poi passai al Bari con De Trizio, Girone e Cuccovillo. Prima di approdare al Bari, andai a fare un provino per la Roma insieme a De Trizio. Mi scelsero, ma le due società non trovarono l’accordo. Il responsabile della Roma era Giorgio Perinetti e quando arrivò a Bari, e io allenavo le giovanili, mi raccontò di quest’episodio, mentre io non ricordavo nulla. Poi, a distanza di una settimana, mi mandarono in prova alla Lazio, ma l’offerta era più bassa di quella della Roma. Così entrai nel Bari, e fui quello più costoso rispetto agli altri tre ragazzi presi dalla Nuova Bari. Avevo 14 anni”.
Quali sono stati gli allenatori con cui sei cresciuto?
“Alla Nuova Bari ho avuto la fortuna di avere Michele Gravina e Michele Triggiani. A Bari ho avuto Schino, il professor Bindi, Catuzzi, Pasquale Loseto, il quale mi chiamava per rinforzare la squadra giovanile nelle partite importanti, e Materazzi nella Primavera. Poi, Radice”.
Ricordi il tuo esordio con la maglia biancorossa?
“Contro il Napoli in Coppa Italia, dove nella fortuna ho avuto la sfortuna. Un brutto infortunio, una forte distorsione alla caviglia, anche se, secondo me, c’era pure qualche frammento di frattura. I tempi di recupero erano lunghi all’epoca e quando mi ripresi, dopo due mesi, feci l’esordio anche in campionato a quasi diciannove anni. L’anno dopo partii al militare. Facevo l’aeronautica a Taranto e mi ritrovai, casualmente e per uno scambio, in una caserma punitiva nella foresta umbra, dove ci vollero tre mesi per farmi rientrare a Bari. Grazie a delle agevolazioni, riuscivo a raggiungere la squadra il giovedì per gli allenamenti, ma questa cosa mi penalizzò molto perché saltavo gli altri allenamenti. In pratica, persi tre mesi di campionato”.
So che in quella partita col Napoli, appena entrato in campo, ti ritrovasti in mano un mazzo di rose rosse…
“Esatto. C’era un grande caos allo stadio, una grande festa, con tanti fumogeni. Non ricordo, nella confusione, chi fu a darmi quel bel mazzo di rose (sorride, n.d.r.), ma sicuramente dei tifosi”.
Ci sono degli aneddoti che ricordi con simpatia?
“Proprio col Napoli in Coppa Italia, i loro difensori Ferrario e Bruscolotti, in dialetto napoletano, mi dicevano in campo ‘oh ragazzino fermati, fermati! Non possiamo venirti sempre dietro!’. Io correvo a destra e sinistra, soprattutto col gioco di Catuzzi che era molto in movimento. C’erano più di quarantamila persone allo stadio e ricordo, come fosse oggi, che Caricola, anche lui esordiente quel giorno, nel sottopassaggio mi prese la mano dicendomi che gli tremavano le gambe, e io, come un veterano, gli risposi di non guardare la gente ma di concentrarsi solo sull’avversario, e di stare tranquillo”.
A Caricola tremavano le gambe. A te, invece?
“Ero tranquillo ma parecchio emozionato. Mi facevo coraggio”.
Hai un rammarico?
“Sì, il calcio mi doveva dare qualcosa in più rispetto a quello che ho fatto. Ho fatto dieci anni di C, ma meritavo di più. Potevo benissimo fare tanti anni di serie B come hanno fatto i vari Armenise, De Rosa, De Trizio. Un attaccante, se fa tanti gol, può arrivare anche in serie A”.
Dopo Bari, appunto, sei sceso in C2 a La Spezia e non sei più tornato in una categoria superiore. Come mai?
“Per il tempo perso a causa dei due mesi di assenza per infortunio, e i tre mesi persi per il militare. Quando venne mister Radice mi disse che non mi faceva giocare perché eravamo in una situazione critica di classifica e aveva bisogno di gente esperta, ma che mi avrebbe confermato se fosse rimasto a Bari. Poi, Radice andò all’Inter”.
Com’è stato il tuo rapporto con Catuzzi e Radice?
“Catuzzi era come un fratello maggiore o un padre. Ci coccolava, ci rimproverava, si scherzava e si rideva, e non c’erano rancori. Era tutto bello. Radice, invece, aveva un distacco con i giocatori e una personalità incredibile. Con lui dovevi seguire molte regole, era un allenatore con dei principi e dei valori di una volta”.
Con chi sei andato più d’accordo nel gruppo dei baresi?
“Sono più legato a Gigi De Rosa e Giorgio De Trizio. Ma andavo d’accordo con tutti”.
Che ragazzo è stato Del Zotti?
“Un ragazzo tranquillo, sereno e scherzoso, che non ha mai fatto male a nessuno. Proprio come tuo papà (Gigi De Rosa, n.d.r.). Sono cresciuto insieme a Gigi De Rosa, eravamo dello stesso quartiere e abbiamo viaggiato sempre insieme. Io avevo la moto e spesso viaggiavamo con la moto, poi Gigi (De Rosa, n.d.r.) prese la macchina e viaggiavo con lui in auto. Non conoscevo personalmente De Rosa prima di entrare nel Bari, lo conoscevo solo di vista per qualche partita giocata per strada, ma sapevo chi fosse perché nel nostro quartiere si parlava molto di lui, che era già nel Bari. Poi, col tempo, nel quartiere si parlava sempre di De Rosa e Del Zotti del Bari”.
Il tuo primo stipendio?
“Il primo anno prendevo cinquecentomila lire come rimborso spese. Il secondo anno, invece, io e qualche altro barese, dopo la A sfiorata, ci aspettavamo un buon contratto e pensavamo di fare alcune richieste alla società. Invece, una mattina, in ritiro, arrivò Regalia e ci fece l’elenco con tutte le cifre del contratto, e noi accettammo senza fiatare. Quasi avevamo paura a dire mezza parola al direttore sportivo. Pensa un po’ come eravamo. Ingenui ma genuini, e c’era grande rispetto”.
Raccontami il momento più bello e quello più brutto vissuto nel Bari…
“Il più bello fu la serie A sfiorata con Catuzzi. Feci solo tre presenze ma, pur stando in panchina, vedevo i biglietti che si esaurivano già il giovedì, e il fascino dei tifosi che si divertivano un sacco allo stadio. Il ricordo più brutto fu il mio infortunio e la retrocessione in C con Radice. In due anni abbiamo sfiorato la serie A, e, stranamente, siamo retrocessi. Non si poteva mai pensare a qualcosa del genere”.
Oggi nel calcio cosa è cambiato rispetto a quegli anni?
“Quando negli spogliatoi entrava il direttore sportivo o il presidente, noi dovevamo alzarci e dargli la mano. C’erano rispetto e valori. Adesso potrebbero ritrovarsi il Presidente della Repubblica davanti, e, probabilmente, non gli danno nemmeno la mano. Sono contento di essere cresciuto in quel periodo, in cui c’erano dei valori. Oggi capisco tante cose, e grazie a quei valori siamo gente onesta e per bene”.
Oggi di cosa ti occupi?
“Sono tanti anni che alleno nella scuola calcio della ‘Nick’, una società giovanile molto seria, affiliata alla Juventus. In passato ho allenato per otto anni nelle giovanili del Bari, poi anche ‘Green Park’, che è stata la mia prima società da allenatore, ‘Wonderful’ e ‘Free Time’. È stata una mia scelta quella di allenare nelle scuole calcio. Ho avuto un’esperienza a Terlizzi in Prima Categoria, ma non mi è piaciuta”.
Il Bari dei baresi è irripetibile?
“Sì. All’epoca ti selezionavano per strada, era tutto diverso. Oggi ci sono tante scuole calcio e gli interessi sono diversi. Tra procuratori e altro, c’è un giro un po’ viziato”.