Siamo a quota 106, centosei donne uccise dall’inizio del 2023 per mano di uomini. Oggi è morta Rita Talamelli, 77 anni, strangolata da suo marito, a distanza di pochissimi giorni dal ritrovamento del corpo della 22enne friulana Giulia Cecchettin, accoltellata dal suo ex fidanzato Filippo Turetta e poi lanciata come un sacco della spazzatura in un dirupo profondo 50 metri, sulle sponde del lago di Barcis. Giulia, che speravamo fosse l’ultima, non lo è stata e probabilmente non lo sarà nemmeno Rita. E mentre il mondo dell’informazione, le istituzioni, la politica e l’opinione pubblica si interroga sulle cause dei femminicidi, piangendosi addosso per il fallimento di un’intera società e le falle nel sistema educativo, oggi, 21 novembre, nelle aule del tribunale di Bari è tornato a risuonare il nome di Santa Scorese, prima vittima di stalking accertata in Italia, accoltellata a morte 33 anni fa da Giuseppe Di Mauro.
Quel killer che il 16 marzo 1991, a Palo del Colle, ha atteso Santa sul portone di casa, sferrandole 14 fendenti mortali sotto gli occhi di suo padre, oggi si ritrova ancora al banco degli imputati per stalking. L’uomo, che ha scontato 10 anni in un ospedale psichiatrico giudiziario, poiché all’epoca dei fatti considerato incapace di intendere e di volere, sembrerebbe sia tornato a tormentare con lettere e messaggi deliranti via social la sorella della vittima, Rosamaria Scorese, mostrando di non essersi affatto pentito del martirio di Santa e la sua perpetua ossessione nei confronti di questa famiglia, sopravvissuta a uno strazio indicibile. Di Mauro sarà processato con rito abbreviato e nei suoi confronti è stata disposta, su richiesta della difesa, una perizia sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto e sulla capacità di stare in giudizio. L’udienza è stata rinviata al prossimo 6 febbraio, proprio il giorno in cui Santa avrebbe compiuto 55 anni, nonché la stessa data del primo tentativo di stupro commesso nel 1989 da Di Mauro nei confronti della giovane attivista cattolica che sognava di diventare una missionaria. L’imputato è al momento agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in una Rsa di Cassano delle Murge, beffa del destino, poco lontano da Palo, città in cui risiedono ancora i parenti della vittima. Abbiamo parlato di questo e degli ultimi casi di femminicidio da far raggelare il sangue proprio con Rosamaria, che da tempo si batte come attivista e docente contro la violenza di genere.
Cosa ha provato quando ha appreso del femminicidio di Giulia Cecchettin?
“Per la prima volta, da quasi 33 anni a questa parte, è come se stessi rivivendo il giorno della morte di mia sorella Santa. Non so cosa stia succedendo, ma forse il fatto che la storia di Giulia sia stata trascinata per una settimana, a causa della sua scomparsa, mi ha destabilizzato un po’. Provo un forte senso di frustrazione in questo momento, rispetto a tutto quello che facciamo e continueremo a fare. Ho una serie di emozioni che mi stanno attanagliando, le stesse che ho provato dopo l’assassinio di Santa, eppure ne abbiamo perse tantissime in questi anni. Non sto bene in questi giorni, anche perché devo fare da spalla anche ai miei, tenere botta anche per loro, perché chiaramente partecipano della vita sociale e sono sempre presenti. Mamma era arrabbiatissima e tristissima, papà 89enne voleva dettagli sulla vicenda. Ieri alla fine abbiamo dovuto spegnere la televisione per tutelarci, perché ci arrivavano messaggi di persone che vedevano dei parallelismi tra Giulia e Santa. Avevano quasi la stessa età, a entrambe sono stati spezzati gli stessi sogni, il percorso universitario, le aspettative che si stavano creando, tutte e due avevano lo stesso tipo di atteggiamento benevolo nei confronti dell’altro”.
Quest’anno i giornali sono tornati a parlare di Santa, dopo che lei ha ricevuto alcune lettere minatorie da parte del killer. Missive e messaggi in cui si capisce bene che è ancora ossessionato da Santa e dalla vostra famiglia.
“Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché in realtà lui in tutti questi anni, a singhiozzo, ha continuato ad essere presente nelle nostre vite; non ce ne siamo mai liberati. Solo qualche anno dopo la morte di Santa, quando lui era in opg, non ha fatto altro che scriverci delle lettere in cui diceva di volerci restituire Santa con delle teorie di ingegneria genetica, tramite maternità surrogata. Di Mauro quest’anno si è fatto risentire, ha scritto una raccomandata via web a mia cugina, mia omonima, chiedendole di inviarla a me. Quindi con la mia avvocata Maria Pia Vigilante abbiamo subito pensato di portare in Procura tutto, ma nel frattempo quando pensavamo che la cosa si fosse un attimo sopita, mi sono ritrovata alla fine dell’estate successiva una serie di richieste di altri messaggi da parte del killer di Santa. A questo punto non ci ho visto più e abbiamo proceduto. Lo dovevo a Santa, a mamma, a papà, a mio marito e ai miei figli”.
Vi siete mai chiesti perché proprio voi, perché proprio Santa?
“Ce lo siamo sempre chiesti e permane come domanda. Anche perché rispetto ad altri casi di femminicidio, ahinoi, così eclatanti, il caso di Santa è singolare. Mia sorella non è stata vittima di un ex compagno, di un marito o un fidanzato, ma di una persona perfettamente sconosciuta che si è accanita proprio come uno stalker. Questo termine, coniato dopo la morte di Santa, rende benissimo l’idea, l’atteggiamento del cacciatore che insegue una preda che non sa nemmeno come si chiami. Se lo guardiamo con gli occhi della fede le risposte sono diverse. Santa si era innamorata perdutamente di Gesù, di Dio, pur non avendo disdegnato storie terrene. Più Santa faceva un cammino di discernimento, chiedendosi in quale maniera, in quale casa vivere con questo suo meraviglioso amore grande, più Giuseppe Di Mauro si accaniva nei suoi confronti e questo l’ho detto anche durante la testimonianza nell’inchiesta diocesana per il processo di beatificazione”.
A che punto siamo del processo di beatificazione?
“Dal 1999 il processo di beatificazione per Santa è in fase romana, ha superato la parte della diocesi di Bari-Bitonto, che resta però attrice della causa. Occorre dimostrare la fama di santità di Santa, morta per femminicidio e in odio della fede. Il suo è un martirio. Abbiamo scoperto la grandezza e la bellezza della spiritualità di mia sorella grazie ai suoi diari, in cui c’è scritto tutto quello che ha vissuto con una coerenza eroica fino alla fine. Santa sapeva di andare a morte e infatti dopo l’ultimo biglietto del suo assassino, lei ha consegnato i suoi scrigni d’amore a Don Tino. Abbiamo sporto tantissime denunce, abbiamo chiesto aiuto anche a magistrati, soprattutto dopo il primo tentativo di stupro che aveva subito Santa. La sottovalutazione del rischio è qualcosa che mi martella ancora oggi, perché non ce lo possiamo più permettere”.
Che dati abbiamo sul territorio pugliese?
“I dati non li ho, ma so che abbiamo accessi aumentati in maniera esponenziale in tutti i centri antiviolenza. Tante ragazze si rivolgono a noi per chiedere di essere indirizzate, c’è una presa di coscienza in Puglia molto ampia, anche se poi ci sono tutte quelle forme subdole che le donne non riconoscono ancora, come la violenza economica. Professioniste con uno stipendio che devono rendicontare la spesa quotidiana al marito o a cui viene imposto di svegliarsi la mattina alle 5 per cuocere i fagioli prima di andare scuola. Però c’è una grande voglia, un grande desiderio di mettersi in gioco da parte delle operatrici, con ottime competenze, e uno sguardo attento anche da parte delle tante Santa. Anche durante gli incontri a scuola fioriscono in parte quelle che Santa chiamava le sue zolle”.
Ciò che impressiona di più è proprio questa doppia faccia delle nostre generazioni: da una parte Filippo, l’assassino di Giulia, e dall’altra Elena, la sorella di Giulia che ha dimostrato maturità e lucidità anche davanti ai media. Che ne pensa?
“Giulia, Filippo e tanti altri possono essere stati i ragazzi che a scuola hanno ascoltato me, la mamma di Federica De Luca, Giovanna Ferrari o Tina Ianniello. Questi ragazzi sono quelli che al liceo abbiamo incontrato, quelli che ci hanno guardato con gli occhi spalancati e che magari hanno pianto anche di fronte ai nostri racconti. La nostra è una grande frustrazione in questo momento, non abbiamo una risposta precisa, ma sappiamo solamente che si muore ancora per colpa degli uomini, che devono affiancarci anche nell’azione educativa. Abbraccio Elena e la guardo con grande tenerezza, penso che la contatterò, le scriverò una lettera. Ora sembra lucida, ma più in là, a riflettori spenti, avrà un lavoro immenso da fare con il suo dolore. Io mi rivedo in parte in lei, anche se oltre 30 anni fa la prima cosa che ho fatto dopo la morte di mia sorella è stato rinchiudermi in me stessa, perché non c’erano i giornalisti che venivano a scuola a chiedermi come stessi. Elena e Giulia sono la parte bella di questa società; Elena è la zolla fiorita di Santa e di tutte le altre, il fiore a cui toccherà mettere insieme altri fiori per formare un bouquet splendido e armarsi di quella che è la grande consapevolezza. Non dovrà mollare”.