Il picco degli accessi al pronto soccorso del pediatrico di Bari è stato raggiunto qualche giorno fa, tanto da costringere l’ospedale a sospendere i ricoveri programmati per fare fronte all’emergenza. I medici e la direzione faranno il punto il prossimo martedì, dopo il ponte del primo novembre, per valutare la situazione. Certo è che anche Bari è stata colpita dall’ondata di Virus respiratorio sinciziale (Vrs), che nei bambini molto piccoli rischia di degenerare in bronchiolite e portare al ricovero. “Solitamente registriamo il numero più alto di casi tra dicembre e febbraio – spiega la professoressa Paola Giordano, direttrice dell’Unità operativa complessa di Pediatria generale specialistica Bruno Trambusti del Giovanni XXIII – Quest’anno, invece, il picco dei contagi sembra anticipato, visto che già da quindici giorni abbiamo accolto in reparto molti bambini”.
Da giorni si parla di un’ondata di contagi da Vrs. Cosa sta succedendo di diverso rispetto agli scorsi anni?
“Il virus respiratorio sinciziale è quello che porta bronchiti e bronchioliti nei bambini molto piccoli. Stiamo registrando tanti casi, soprattutto rispetto agli ultimi due anni, in cui l’andamento dei contagi è stato condizionato dalla pandemia, dall’uso delle mascherine, dai lockdown e dalla chiusura delle scuole, che hanno limitato i contatti. Questo virus è responsabile dell’80 per cento dei casi di bronchioliti, di infiammazione dei bronchi di piccolo calibro e delle basse vie respiratorie, e causa la formazione di tappi di muco e difficoltà respiratorie”.
I genitori fanno bene a essere allarmati?
“E’ un virus temibile, perché ha un’estrinsecazione clinica estremamente variabile. Ci sono casi semplici con tosse, rinite e starnuti, che a distanza di 12 o 24 ore diventano gravissimi, con difficoltà respiratorie che spingono all’immediato ricovero. Importante: la diagnosi è esclusivamente clinica, non può essere fatta con test di laboratorio o radiografie al torace, sono inutili. Il virus sinciziale è sempre stato la causa principale di ospedalizzazione dei lattanti, con picco a due mesi di vita: un bambino su tre colpito sviluppa la bronchiolite nel primo anno, il 2 o 3 per cento richiede l’ospedalizzazione. Solitamente il periodo di maggiore diffusione è tra gennaio e febbraio, con risoluzione verso aprile, quest’anno è stato anticipato”.
Quali sono i sintomi?
“All’inizio sono molto aspecifici: tosse, starnuti, rinite anche in assenza di febbre. Il bambino deve essere visitato dal pediatra di libera scelta e monitorato con contatto costante ogni 12, 24 ore. Il pediatra deve insegnare ai genitori i sintomi che devono destare allarme, come la modifica del colorito (se per esempio il bambino diventa pallido o cianotico), l’aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, la riduzione della saturazione dell’ossigeno. In questi casi bisogna recarsi subito al pronto soccorso, soprattutto se ci sono fattori predisponenti alla gravità della situazione, in caso di neonato pretermine o con patologie cardiache congenite, respiratorie, fibrosi cistica, immunodeficenze”.
Qual è la terapia consigliata?
“Una terapia di supporto come l’ossigenoterapia, con ossigeno umidificato e nasocannule. Fondamentali sono una corretta idratazione per via orale o endovenosa, e una corretta alimentazione. Certamente la letteratura scientifica mondiale è concorde nel dire che non servono farmaci antibiotici e cortisonici, non hanno alcuna efficacia. Sui broncodilatatori ci sono pareri diversi: in Italia la Società di pediatria ne ammette l’utilità al di sopra di sei mesi per bambini con predisposizione all’atopia. Ricordo che l’infezione più grave da brionchiolite si verifica al di sotto dei due anni, nelle sue forme più gravi sotto un anno”.
Come prevenire?
“Stando attenti al lavaggio delle mani, degli oggetti e dei giocattoli utilizzati dai bambini, cercando di tenere isolato il piccolo che in ambiente familiare presenta i sintomi”.