Nuovo appuntamento con la rubrica di Telebari ‘Se Milano avesse il mare’, per raccontarvi il legame tra le due città e tante storie di ‘emigrati’ baresi nel mondo. Se avete segnalazioni, potete scrivere all’indirizzo mail redazione@telebari.it , specificando nell’oggetto il nome della rubrica ‘Se Milano avesse il mare’, o contattarci tramite Messenger.
Consiglio di lettura per questa puntata della rubrica: andate su Youtube o Spotify, cercate la canzone ‘Trani a Gogò’ di Giorgio Gaber e tenetela come sottofondo musicale mentre leggete. Il brano, del 1962, è un’altra delle tante testimonianze dei legami tra Milano e la Puglia e racconta una piccola curiosità, che ai giorni nostri è ormai solo linguistica. Si tratta del significato del termine ‘trani’, proprio come la bella cittadina pugliese affacciata sull’Adriatico con la sua bianca Cattedrale.
Se cercate sul vocabolario online della Treccani scoprirete che trani “a Milano o nel Milanese, fino a tempi recenti”, significava “bettola, osteria”. Il termine deriva proprio “dal nome del centro pugliese di Trani (in provincia di Bari), che appariva nelle insegne di osterie, da solo o nella locuzione vino di Trani, che indicava anche, genericamente, il vino rosso sfuso”.
L’origine di questa associazione tra Trani e le osterie risalirebbe, secondo una delle versioni più accreditate, al blocco delle esportazioni verso la Francia dei vini pugliesi, avvenuto tra la fine del 1800 e i primi del Novecento. Il giornalista Giuseppe Barigazzi, autore nel 1968 del saggio ‘Osterie di Milano’, scrive in effetti che i Trani sono “bottiglierie con cucina economica e mescita di vino che crescono come funghi intorno al 1890, in dipendenza delle guerre doganali con la Francia”.
Ma altre versioni, non in conflitto con questa, ascrivono il fenomeno, più in generale, all’emigrazione dei pugliesi verso Milano durante quegli anni e all’apertura di vinerie e posti alla buona, dove servire appunto i vini rossi e rosati provenienti dalle zone di origine degli emigrati – che aprivano queste mescite perché disponevano della materia prima – accompagnati con pietanze a buon mercato.
Se i Trani nascono alla fine dell’Ottocento, è nel Secondo dopoguerra che spopolano, fino ad essere appunto ‘catturati’ nella canzone di un artista istrionico come Gaber. E in effetti è nei Trani che tanti altri artisti hanno trovato spazio per esprimersi, cantare e farsi conoscere.
Su Facebook si trovano diverse pagine che ricordano le vecchie osterie milanesi, e una delle più documentate si chiama proprio ‘El trani e la canzon milanesa’. Uno degli amministratori di questa pagina è Giovanni Manzari, che dal cognome tradisce le sue origini baresi. A lui, che è un dialettologo nonché cultore della canzone milanese e della storia delle vecchie osterie di Milano, abbiamo chiesto alcune delucidazioni su come il nome della cittadina pugliese è finito con il diventare sinonimo di osteria.
“Sono quei termini locali che non si potrebbe dire che facciano parte della lingua italiana nel senso più stretto. Si tratta di termini dialettali che però poi, di fatto, entrano nell’italiano e possono essere anche registrati dalla lessicografia nazionale come voci locali”. Come in effetti è avvenuto. Non si trattava, come avrete forse intuito se avete ascoltato la canzone di Gaber, di posti ‘da fighetti’ o alla moda: erano posti ‘permale’.
“Quando negli anni Settanta o Ottanta un milanese, parlando di un locale, diceva che era un ‘trani’, vi conferiva una sfumatura dispregiativa – spiega Manzari a Telebari -. Un postaccio, una bettolaccia di basso livello. E in milanese c’è anche il termine ‘tranatt’, che indica un tipico frequentatore di trani, cioè un avvinazzato, un ubriacone da osteria, a dimostrazione di come il termine si sia radicato nel milanese, al punto da creare dei derivati”.
Oltre ai ‘tranatt’, all’interno dei trani coesistevano diversi ‘tipi umani’: artisti spiantati o in attesa di consacrazione, pseudo intellettuali, anziani che giocavano a carte, uomini e donne in cerca dell’amore (anche a pagamento…), pregiudicati, gente da poco uscita dal carcere. “Il Trani era legato a un preciso contesto, a un’antropologia, a un ambiente, era un locale economico”, spiega Manzari. Un pezzo di storia di una Milano che non c’è più: “Oggi molti posti si chiamano osteria, ma non hanno nulla a che fare con le osterie di un tempo: mettono la tovaglia a quadri bianca e rossa, ma sono ristoranti di lusso da 80 euro a testa”.
Resta un piccolo mistero. Spesso sulle insegne dei vecchi Trani appariva infatti anche il toponimo Barletta, ma alla fine è stato Trani a prevalere nel linguaggio comune dei milanesi come sinonimo di osteria popolare. Sarà stato forse per la sua brevità? Chissà come sarebbe suonata la canzone di Gaber col titolo ‘Barletta a Gogò’.