Nuovo appuntamento con la rubrica di Telebari ‘Se Milano avesse il mare’, per raccontarvi il legame tra le due città e tante storie di ‘emigrati’ baresi nel mondo. Se avete segnalazioni, potete scrivere all’indirizzo mail redazione@telebari.it , specificando nell’oggetto il nome della rubrica ‘Se Milano avesse il mare’, o contattarci tramite Messenger.
Per questo appuntamento pasquale riprendiamo il discorso dove lo avevamo interrotto (qui il link per chi si fosse perso la prima parte sulla mania di grattacieli): e se fosse Bari a voler assomigliare a Milano? Dopo il sushi e le torri, il passo successivo di ‘milanesizzazione’ potrebbe essere quello dei “quartieri acronimo alla newyorchese”. Di cosa parliamo? Della moda – insopportabile per alcuni e cool per altri -, di rinominare zone e quartieri già esistenti utilizzando acronimi in inglese. La potremmo definire, utilizzando una terminologia del marketing, un’operazione di rebranding. Una zona “gode” di una brutta fama? Non è appetibile e perde valore a livello immobiliare? Ecco allora che qualcuno le cambia il nome, usando rigorosamente acronimi in inglese mutuati da operazioni simili fatte nella Grande Mela, dove esistono SoHo (South of Houston Street), TriBeCa (Triangle Below Canal Street) o Dumbo (Down Under the Manhattan Bridge Overpass, ossia “sotto il ponte di Manhattan”), per citarne alcuni.
Basta poco, e il gioco è fatto. Iniziano a uscire articoli sui giornali, aprono attività commerciali che si richiamano a quel nome, l’interesse di chi vuole comprare o affittare una casa in quella zona aumenta perché aumenta l’hype e, di conseguenza, aumentano anche i prezzi. E allora arrivano anche le grandi imprese immobiliari che iniziano a progettare nuove case (pardon, torri o, meglio ancora, tower) a prezzi decisamente elevati. Il processo può anche essere inverso: non è difficile ipotizzare che tutto in realtà nasca dalle menti di immobiliaristi che, dopo aver puntato una periferia magari degradata, decidono di far partire questo meccanismo appena descritto per far alzare i prezzi, ovviamente dopo aver già acquisito i terreni. Non è tutto così lineare e, soprattutto, non sempre le cose vanno così. Prendiamo ad esempio la zona da dove tutto è cominciato: NoLo. L’acronimo significa Nord di Loreto, il famoso piazzale di Milano che è uno dei più grandi “non luoghi” milanesi: un enorme snodo stradale, che in futuro sarà oggetto di una riqualificazione ma che al momento è solo una distesa di asfalto, con qualche aiuola inaccessibile al centro. Si tratta di una zona a nord di piazzale Loreto, in una fetta di territorio a cavallo tra tre quartieri (Casoretto, Turro e Ponte Seveso) e il sovrappasso ferroviario. Fino a qualche anno fa, si può affermare senza tema di essere smentiti che non fosse proprio una zona in cui voler andare assolutamente a vivere: viale Monza, via Padova, le fermate della metro Pasteur e Rovereto non erano di certo in cima ai sogni dei milanesi. Poi, però, le cose sono cambiate. È il 2012 quando tre designer milanesi – Francesco Cavalli, Walter Molteni e Luisa Milani –, due dei quali si erano trasferiti da poco proprio in zona Loreto, si incontrano a New York per una trasferta di lavoro. Lì hanno l’illuminazione: “Chiacchierando e camminando per SoHo abbiamo pensato a NoLo – ha raccontato tempo fa al quotidiano “Il Giorno” Luisa Milani -. Dire vivo a NoLo suonava meglio che dire vivo in via Padova, vivo in viale Monza o vicino alla Centrale”.
Il nome NoLo inizia a circolare prima nella cerchia degli amici dei tre designer e poi diventa di dominio pubblico. Tanto che, adesso, è riconosciuto ufficialmente anche dal Comune di Milano. NoLo non è solo una trovata di creativi. Attorno a questo nome si sono coagulate una serie di iniziative – un progetto del Politecnico di Milano, una social street che ha favorito la partecipazione dal basso dei cittadini, pedonalizzazione di intere piazze e vie, addirittura una radio di quartiere – che hanno fatto riscoprire un senso di comunità che in una città come Milano non sempre si trova. Come effetto collaterale, però, il successo di NoLo ha portato sia un aumento esorbitante dei prezzi della zona (uno studio di Immobiliare.it aveva stimato rincari del 55% rispetto al 2019, anno pre-Covid), sia un effetto emulazione. E così sono nate SouPra (a sud della Fondazione Prada), NaPa (Naviglio Pavese), NoCe (Nord di Cenisio), NOM (North of Milan) e l’ultima arrivata – almeno finora – NoLamb. Che non è un invito degli animalisti inglesi a boicottare l’agnello (che pure nella giornata odierna ci potrebbe stare), ma solo il modo con cui si sta iniziando a identificare il quartiere di Crescenzago, a nord di Lambrate, interessato dalla costruzione di nuove, onnipresenti, torri. Badi bene: in questi ultimi casi non si tratta di nomi ufficiali, bensì appunto di iniziative emulative di qualcuno che spera di ripetere la parabola di NoLo anche altrove. Che crede che basti un po’ di “branding” per attirare le persone. Alcune persone; quelle che possono comprare, a cui spesso fanno posto quelle che non hanno i mezzi per sostenere i rincari che seguono a queste operazioni, quando si tratta solo di marketing senza “anima”.
Riflessioni a parte, adesso è tempo di abbandonare Milano e fantasticare su Bari: cosa potrebbe succedere nel capoluogo pugliese se dilagasse questa mania milanese? Non si tratta che di un gioco, sulla scia di quanto già avvenuto tempo fa quando un gruppo di creativi si inventò gli “United States of Bari”, una mappa con tutti i toponimi della provincia tradotti in un inglese più o meno maccheronico, o più di recente quando i quartieri baresi sono stati rivisitati in chiave cartoon con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. E allora immaginatevi qualche creativo che decide di far diventare la zona nord di Japigia “NoJa”, trasformandola – giocando in chiave antifrastica – nella nuova zona della movida. Qualcuno potrebbe invece decidere di puntare sulla zona sud di Japigia SoJa, sperando che diventi una Chinatown brulicante di locali e vita notturna. “Dove andiamo stasera?” “Perché non proviamo quel sushi all you can eat che hanno aperto a SoJa?”. Qualcuno starà rabbrividendo, ma sappiate che la Chinatown di Milano è diventata ormai un luogo di movida e tendenza che richiama turisti da tutto il mondo. Ancora: pensate a come suonerebbe altisonante dire di abitare in una fantomatica Freedom Tower nel quartiere Libertà, che anche se non è un acronimo unisce gli argomenti di cui abbiamo parlato anche nella scorsa puntata della rubrica. Oppure: cosa ne pensate di CécCà, non come imprecazione ma come acronimo per ridefinire le zone di confine tra Ceglie del Campo e Carbonara? E di EastCa e WestCa, per definire le zone a est e ovest del Canalone? E se la zona di Pane e Pomodoro diventasse la BAT Beach, e quella del Lido San Francesco la SunFra Beach (l’errore è voluto, per strizzare l’occhio ai turisti anglofoni e giocare sul clima soleggiato, visto anche il recente primato in materia della città)? D’accordo: prima di esaurire la vostra pazienza, mi fermo qui. Ma chissà che qualche lettore non voglia continuare a giocare. E buona Pasqua a tutti i lettori di Telebari!